domenica 29 novembre 2009

CARLES GOMILA: BELLEZZA E ARMONIA NELL’ARTE CONTEMPORANEA


Nato nell’isola di Minorca nel 1978, fu attirato dalla pittura di 21 anni.La sua pittura ricerca l’eleganza, la misura, la suggestione e l’energia. Si descrive come portato a studiare i classici, per questo avrebbe avuto sempre rapporti conflittuali con i suoi insegnanti, più portati a incoraggiare esiti avanguardistici, si sente perciò libero di rappresentare la figura umana, utilizzandola come strumento onirico, che porta a vagare con l’immaginazione. Cerca perciò di ricreare l’aura dei classici, attraverso una dimensione atemporale. I suoi punti di riferimento sono: l’arte greco-romana, la linea di Ingres, il colore di Redon e l’essenza di Velazquez.



SITO DELL’ARTISTA

Quando hai scoperto che l’arte avrebbe fatto parte della tua vita?



Quest’idea crebbe a poco a poco. Da quando ero piccolo, mi affascinava lo studio di mio zio, il pittore e incisore Blas García e sono cresciuto con questa vocazione latente. Ciò nonostante prima sognavo d’essere un postino, mi piaceva l’idea di lavorare passeggiando con carretto, dispensando notizie. Dopo mi trovai in una fase ambiziosa e desiderai d’essere un veterinario (ero sempre stato innamorato dei gatti), però questo segno terminò studiando le scienze: non ero capace di sommare due cifre senza utilizzare le dita e disegnavo durante le lezioni. Finalmente entrai all’Accademia delle Belle Arti di Barcellona con l’intenzione di formarmi come illustratore, illusione a cui ho disatteso e, quasi senza rendermene conto, cominciai a entrare nelle gallerie d’arte.





Sottolinei spesso l’importanza di studiare i classici. È possibile analizzare le loro opere, creando però qualcosa di originale?



Nessuno è capace di creare partendo da zero, la creazione è una revisione del precedente, un novo indirizzo sotto una prospettiva più attuale. Il mio amore per i classici mi ha portato al loro studio e a farmi contaminare dalla loro aura. Mi piace. Una parte di me s’identifica con questo universo antico, ma più come evocazione poetica che come desiderio. Studiare i grandi classici attraverso la contemplazione mi è risultata un’esperienza tanto soddisfacente quanto produttiva, ma non sto sostenendo che si debba raccomandare questa pratica come sistema.





Quale parte ha la funzione dell’influenza ha l‘arte orientale nelle tue opere?



La sua funzione è innocentemente accessoria: il fascino per l’esotico.

L’esotico, secondo me, è ciò che ha un’aura magica, di mistero. È sinonimo d’ignoranza ritenere che

Ciò che è lontano è sempre migliore di ciò che è vicino, e l’immaginazione lo converte in qualcosa di eccezionale, in tutto ciò che ci piacerebbe fosse.





Pensi che l’uso della figura dia ancora la possibilità di esprimere qualcosa di nuovo?



Forse, però è una questione che non mi coinvolge, perché il fine del mio lavoro non è l’innovazione, ma la ricreazione e il diletto. Penso sia una volgarità cadere nell’antiquato compromesso dell’innovazione, mi sembra inoltre una riflessione un po’ distratta quella che si fonda sulla negazione e non sulla creazione. Lo sperimentale si caratterizza per essere uno stato di transizione tra la maturità e il fallimento. La ricerca attraverso l’alternativa è uno slancio lodevole, ma non m’interessa. Il mio lavoro è molto più umile.





Le tue opere suggeriscono una sensazione d’armonia. Perché una scelta così inusuale in un periodo in cui si cerca di realizzare immagini perturbanti, come un pugno nello stomaco dell’osservatore?



La forza e il carattere si confondono troppo frequentemente con l’essere sgradevole. L’asprezza è sempre facile e ricorrente, non ho mai compreso gli artisti che si rifugiano nell’angustia, tantomeno il loro pubblico. Pratico l’economia della sofferenza, tanto nella mia vita quanto nel lavoro. Prima di tutto desidero trasmettere quello che mi risulta piacevole e riviverlo in ogni opera, come una leggerezza della vita mediterranea.





Qual è la funzione del colore nelle tue opere?



Pongo le risorse plastiche sotto l’imperativo della figura umana. La figura comanda, io faccio quello che mi chiede. Normalmente utilizzo grandi aree di colore per generare impatto, e delicate sfumature per riprodurre le qualità della pelle umana.



Fai degli schizzi preparatori o dipingi direttamente sulla tela?



Quasi mai lavoro con degli bozzetti, perché mi annoiano. Eseguo direttamente sopra la tela un disegno col carboncino, prima della pittura, che mi permette di adattare il disegno, in modo da conseguire l’intenzione dell’opera in tutta la sua freschezza originale. Non è nemmeno frequente che interpreti modelli, fotografie o riferimenti della natura, lavoro sempre con l’immaginazione.





Cos’è la bellezza per te?



Un’opera è bella quando desidererei appenderla sopra le pareti della mia casa. Quello che mi risulta piacevole , che mi suggerisce sentimenti prima che riflessioni. La mia ricerca della bellezza è sempre intuitiva e irrazionale, non mi azzarderei a razionalizzarla eccessivamente. Da Platone ai nostri giorni il discorso estetico si è sviluppato senza conseguire quasi nessun consenso, da qui si deduce che è apiretico. Forse questa dissertazione si è dimenticata dell’arbitrarietà del gusto personale sopra tutta la teoria.





È stato difficile entrare nel mercato dell’arte?



In questa piccola isola delle Baleari, Minorca, mi è risultato facile. Qui la contrattazione con le gallerie è molto piacevole e sono sempre stato appoggiato. Fuori dall’isola, non è stato così facile. Sto imparando, a poco a poco, come funziona. Nella facoltà delle Belle Arti non esisteva nessuna disciplina che insegnasse in cosa consiste il mercato dell’arte. È ovvio, poiché se i professori avessero avuto una minima idea di come funziona il mercato, avrebbe lasciato l’insegnamento per vivere di pittura.





(Sabrina Abeni)

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